martedì 30 ottobre 2007

Vivi come se dovessi morire domani. No grazie.



La ricerca di soluzioni mitologiche, al fine di mitigare il senso di sofferenza, la paura angosciosa e l'imprevedibilità e inevitabilità della morte, hanno accompagnato l'uomo dall'inizio dei tempi. Con la trascrizione di biografie collettive e personali, di eventi storici, in parte si è superato il limite della fine biologica, soddisfacendo l'esigenza della permanenza nel modo dei vivi in continuità storica, ma la paura e l'angoscia sono sempre apparsi ostacoli invalicabili.
La difficoltà di affrontare questi sentimenti ha creato un intreccio sistema di elaborazione dell'idea della morte e del morire specialmente nel mondo occidentale, questa paura ed imprevedibilità della morte ha generato negli individui e negli aggregati sociali, un impegno ad escogitare sistemi per sfuggire alla minaccia della propria scomparsa e al disfacimento del proprio gruppo di appartenenza. Sistemi quali il lutto e le dinamiche di cordoglio legate al significato dell'esistenza e all'aldilà con annessi e connessi religiosi, soprattutto nati nel periodo dell'età feudale-contadina.
Una trasformazione importante nel concetto di morte è avvenuta quando sono entrati in contrasto il vecchio concetto di morte naturale e il pensiero illuminista e la filosofia positivista che chiedevano argomenti più razionali per la spiegazione dei cambiamenti che accompagnano l'invecchiamento, la malattia e le alterazioni irreversibili della vita umana.
Di fronte, infatti, all'affermarsi della razionalità e di aspetti più concreti della morte e alla contemporanea scomparsa di miti e riti, all'assenza di codici e tradizioni, l'Occidente si è trovato privo dei riferimenti culturali che servivano se non a spiegare, almeno ad esorcizzare ed accettare la morte e ha trovato rifugio in meccanismi di negazione, spostamento e rimozione, considerati tra le cause più frequenti di manifestazioni nevrotiche e di personalità conflittuali.
Così accanto alla ricerca inquieta di risposte rassicuranti sulla possibilità di spostare i confini tra vita e morte, riposa ancora la grande incertezza sulla definizione di morte e, come tentativo di allontanare la minaccia rappresentata dalla certezza del limite, si assiste all'imporsi di filosofie "metropolitane", nella quale gli elementi di riflessione non sono più la paura della morte, intesa come "la fine", e del morire, visto come condizione di angoscia esistenziale, ma il timore di non esserci più alle cose del mondo: la paura di "non vivere", come ansia della perdita di oggetti di culto e di status, la paura di non usufruire a pieno del proprio tempo.
Si vive come dei condannati a morte con l'ansia di essere giustiziati da un momento all'altro, una frenetica rincorsa a tutto ciò che si può avere prima di non essere più in grado di averlo.